venerdì 8 ottobre 2010

Red Carpet

Dopo l'Oscar alla Pace (o Nobel Preventivo, fate voi) assegnato nel 2009 al presidente degli Stati Uniti Barack Obama, i norvegesi hanno pensato bene che era forse il caso di assegnare quest'anno il riconoscimento ad un candidato con maggiori credenziali, riassegnando allo stesso premio un significato ed una sostanza che talvolta gli sono venuti meno.

Nobel inconsapevole
Egli ancora non lo sa, ma Liu Xiaobo è il vincitore del Premio Nobel per la Pace 2010. "[…] per la sua lunga e non violenta battaglia in favore dei diritti umani fondamentali in Cina." questa è la motivazione annunciata da Thorbjoern Jagland, presidente del comitato per l'assegnazione dei premi, aggiungendo che "Il Comitato norvegese per il Nobel ritiene da tempo che ci sia uno stretto legame tra i diritti umani e la pace. […]". Motivazione che spiega anche perché Liu Xiaobo, al netto di tutti gli ottimismi del caso, non sarà ad Oslo il prossimo 10 dicembre per ritirare questo premio. E forse nemmeno il prossimo anno, né quello dopo. Almeno non fino a quando non avrà scontato gli 11 anni di carcere (in un luogo conosciuto solo alle autorità cinesi) sentenziati dal Tribunale Supremo di Pechino che confermava in appello l'accusa di "incitamento alla sovversione del potere dello stato" e di aver "superato i limiti della libertà d'espressione consentita" con il quale era stato condannato il 25 dicembre 2008. Scrittore e docente universitario, fu uno dei promotori di "Charta 08", il manifesto politico firmato da oltre 300 intellettuali e artisti e spinto da più di 10.000 adesioni, che chiedeva al governo di Pechino di attuare quelle riforme previste dalla Costituzione in favore della democratizzazione della Cina. E aveva già partecipato attivamente nel 1989 alle proteste di piazza Tienanmen, anche se no, non era lui l'uomo con le buste della spesa davanti ai carri armati (ma fa sempre piacere ricordarlo, appena ce n'è occasione).

un eroe senza nome e senza età
Ora, senza tirarla tanto per le lunghe, la Repubblica Popolare Cinese, per quanto indubbiamente cinese, ha ben poco dei caratteri di una repubblica e meno ancora possiede una vocazione popolare. Il rapporto di legittimità che lega la sua classe dirigenziale politica con i suoi cittadini è molto labile, al punto da lasciar credere che esso possa spezzarsi da un momento all'altro. In Cina, chi reclama per il rispetto di diritti umani che non gli vengono riconosciuti rischia la detenzione in carcere, soprattutto se accusato, come nel caso di Liu Xiaobo, di essere un dissidente, un sovversivo, un aizzatore di folle.

In questa decisione, i giudici del comitato di Oslo non si sono lasciati intimorire dall'ombra della potenza emergente più intransigente ed irritabile diplomaticamente della scena mondiale. Intransigenza che impone ogni volta un velo di ambiguità nei rapporti politici ed economici intrattenuti dalla Cine con gli altri Stati, soprattutto dell'Occidente più industrialmente sviluppato. Ambiguità dei capi di governo occidentali, ovviamente, perché Pechino delle sue linee politiche, interne e no, non ne ha mai fatto mistero. Spetta agli altri, a quanti vogliono relazionarsi e piegarsi al cospetto dell'imponente apparato economico cinese, in rapida e forte crescita soprattutto se confrontato, nella maggioranza dei casi, con il proprio stagnante tentativo di ripresa, muoversi tra l'ambiguità di un rapporto amichevole di convenienza e la chiusura di entrambi gli occhi davanti allo scenario cinese di violazioni continue dei diritti umani, anche dei più elementari. Violazioni che arrivano nonostante la Repubblica Cinese sia firmataria di accordi internazionali di tutela di tali diritti, con gli altri Stati che si tengono ben lontani dal richiederne l'effettivo rispetto, se non con dichiarazioni occasionali di rito, come quelle che si rincorrono dal momento dell'assegnazione del Nobel di oggi. I motivi di questo timore sono essenzialmente due e val la pena ricordarli: il primo fa riferimento al possedimento di ordigni nucleari; il secondo invece risponde alla fatidica domanda, se mai ve la foste posta: "ma chi diamine sarà il creditore di tutti 'sti debiti pubblici sparsi per il mondo?"


E allora, per una volta, la lezione al governo di Pechino viene data dal comitato di un premio, che per quanto celebre, anzi celeberrimo, pur sempre un mero riconoscimento opinabile rimane, poco più rilevante degli Oscar, molto invece al di sotto del giudizio di ognuno di noi. Ma si permette, nella desolante negligenza di tutti, di indicare la via da perseguire ad un colosso di un miliardo e mezzo di individui e con il secondo prodotto interno lordo al mondo.

A differenza, per esempio, di quanto potrebbe e ha recentemente avuto l'occasione di fare il sorridente ex Ministro dello Sviluppo Economico di un noto Paese dell'Unione Europea, nell'ultimo meeting con il Presidente cinese Wen Jiabao per stipulare accordi di collaborazione e scambio commerciale. Meglio, ha ritenuto invece opportuno, mostrarsi accondiscendenti e anzi lunsighieri, apprezzare ammirati "il ruolo svolto dalla Repubblica Popolare Cinese sulla scena internazionale" ed elogiare la sua "volontà di sedare tutti i contrasti e risolvere tutte le situazioni con grande saggezza e serietà". Un vero peccato non poter usufruire in tali occasioni di una telecamera sotto il tavolo delle trattative.

...ma questa è un'altra storia...

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