venerdì 22 ottobre 2010

498 volte No




Il 21 settembre scorso, la Camera dei Deputati si è espressa in merito al disegno di legge avanzato dal deputato dell'IdV Antonio Borghesi, che chiedeva l'abolizione dell'assegno vitalizio destinato a tutti gli onorevoli parlamentari di oggi e di ieri. 498 sono stati i voti contrari (a fronte di 22 a favore dall'Italia dei Valori e 5 astenuti) ad una proposta che abbatteva la possibilità che ci possa essere qualcuno in Italia capace di garantirsi un'agiata pensione dopo soli 5 anni di attività, mentre tutti gli altri cittadini e contribuenti sono costretti a lavorare per circa 40 anni.

Quei 5 anni, poi, dovrebbero essere la norma: bisogna sapere, infatti, che una legislatura assegna vitalizi a tutti i parlamentari, anche a quanti dimessi prima del tempo, non appena superi la metà del suo corso regolare, ovvero 2 anni e 6 mesi.
Un provvedimento che non solo garantirebbe una coerenza e una giustizia sociale, ma che recherebbe anche un notevole risparmio per le casse del Paese.

troppi, troppo costosi, troppo lontani


Questa votazione si teneva un mese fa. Un mese, giornalisticamente parlando, può sembrare un'era geologica, un ritardo mostruoso. Ma io non sono un giornalista e ho pensato fosse doveroso condividere ugualmente questa notizia, soprattutto dopo essermi accertato della carenza di diffusione che la stessa aveva ricevuto a tempo debito.
D'altra parte, da un punto di vista strettamente storico, ciò accadeva "appena" 31 giorni fa. Chi ha votato contro questa proposta sacrosanta sono gli eletti alle scorse, ultime elezioni politiche; quelli, per essere più chiari, scelti dalle segreterie di partito senza passare dalle preferenze degli elettori.


Ciò che ho appena riportato è solo uno dei tanti esempi concreti di una classe politica che perde il suo tempo ad accusarsi l'un l'altro, fazione contro fazione, di non comprendere e di non saper rispondere alle necessità della popolazione; senza però accorgersi di come si stia allontanando sempre più compatta e inerte (tranne in rari e saltuari casi di mosche bianche) dall'intero Paese, e non soltanto dai suoi problemi. Un'èlite che vive in mondo tutto suo, restia a confrontarsi con la gente e soprattutto riluttante ad un ricambio al suo interno che avviene soltanto secondo logiche di età (leggi decesso o demenza senile). La differenza tra questa classe dirigente boriosamente autoreferenziale e le difficoltà della nostra Nazione si fa sempre più abissale, intangibile ma allo stesso tempo palese. Una differenza che credo si possa provare a quantificare con quei 498 "no" che vi ho appena raccontato.

Eppure la teoria direbbe che nei Paesi migliori è la classe politica a indicare la strada del progresso ai propri cittadini, prevedendone le sfide del futuro e rispondendo anzitempo ad ogni esigenza; mentre nei Paesi soltanto decenti è il popolo a far emergere le questioni da affrontare proponendole ai politici, che in tempi più o meno brevi riescono a fornire soluzioni soddisfacenti.
I fatti dicono che in Italia, invece, non solo non c'è nessuno in grado di prevedere il futuro, ma non c'è nemmeno qualcuno che badi al presente: ci sono soltanto occhi rivolti al passato, nello sconfortato rimpianto di quei tempi in cui si stava meglio quando si stava peggio.

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