venerdì 29 ottobre 2010

Punchball


Può accadere, mentre si condanna un episodio di aggressione come quello di cui è stato vittima mercoledì il il portavoce del PdL Daniele Capezzone, di eseguire una silenziosa ma risoluta opera di discriminazione: offrire due diverse valutazioni e due diversi trattamenti alla violenza fisica e alla violenza verbale.

La differenza tra le due forme di aggressione è invece una soltanto e non possiede una rilevanza tale da ammettere diseguali livelli di deplorazione. Molto semplicemente: contro la violenza fisica, diversamente da quella verbale, la vittima possiede minori o nessuna possibilità di difesa.

Da sempre, però, la risposta ad un attacco frontale, lessico o corporale che sia, può non limitarsi alla difesa personale ma prevedere anche una controffensiva, portando spesso a intrecciarsi i due livelli di violenza: a pugno o insulto si può risponde con un pugno o con un insulto, oppure con entrambe le cose insieme. Lo sciame d'odio in questo modo rimbalza da una parte all'altra sino a raggiungere la rissa, fisica o verbale.

A volte capita anche che la vittima non riesca a vedere a chi appartenga la mano che lo ha colpito e non possa così difendersi, ma può pur sempre reagire. Può prendersela, per esempio, con chi nel suo immaginario già ricopre il ruolo del nemico, e arrivando così ad accusarlo dell'aggressione senza troppi giri di parole. Ovviamente senza alcuna prova e, soprattutto, senza trovare un momento per fare autocritica.

Ogni riferimento a fatti o cose realmente accaduti non è puramente casuale (leggere per capire).

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