giovedì 11 novembre 2010

Il Grande C'entro

Dietro l'ombra della crisi del Governo Berlusconi, ormai prossimo a cadere (dicono), si nasconde un vecchio incubo della politica italiana: il C'entro.
Magari ancora non troppo grande (per elettorato, sia chiaro, non per munificenza) come lo fu ai suoi tempi la Democrazia Cristiana e come vorrebbero oggi i suoi nuovi protagonisti, ma abbastanza considerevole per presentare l'incombenza di un pericolo che l'Italia non può permettersi di correre nuovamente.
Perché già nella sua prima esperienza, il Grande C'entro ha dimostrato di essere un mostro politico per fatti ed idee.
Uno scudo indifendibile

I fatti dimostrano che durante i quaranta e passa anni di governi guidati dalla DC, quella fastidiosa, e limitata geograficamente, convivenza con le mafie si è trasformata in opportunistica connivenza tra Stato e organizzazioni criminali parastatali su tutto il territorio. Quell'economia che aveva vissuto il suo slancio col boom degli anni '60 si è dovuta reggere negli anni successivi su tassi d'inflazione instabili e galoppanti e scavando un debito pubblico agghiacciante che ancora oggi ci è impossibile arginare. Quella società che usciva finalmente con una parvenza di compattezza dalla Resistenza, è tornata a non parlarsi più da una città all'altra, a chiudersi nella sua mentalità familistica e campanilista, a credere che l'unico modo per farcela nella vita debba essere imbrogliare, cercare scorciatoie e farsi raccomandare.
Non una delle esigue svolte democratiche e laicistiche compiute dal nostro Paese dal dopoguerra fino al termine della Prima Repubblica (ma perché uso il maiuscolo?) è stata dovuta o voluta dai Democristiani, che anzi puntualmente ne erano avversi.

Le idee, invece, dicono che per l'appunto l'idea di C'entro corrisponde a quella perversa ossessione, da ormai 90 anni congenita in molti (troppi) italiani, di cercare una singola personalità a cui affidarsi ciecamente (Mussolini prima, Berlusconi poi, con le dovute differenze); o in alternativa quella di battere in ritirata la strada per il voto utile, per quelli che di sicuro vanno al governo, quelli che non stanno né da una parte né dall'altra: quelli che, per farla breve, stanno in mezzo e c'entrano sempre. Una buona fetta d'Italia ha da sempre inseguito il sogno che qualcuno o qualcosa potesse calargli dall'alto quella stabilità necessaria al Paese, confondendola molto spesso con la mera permanenza prolungata al governo di quel qualcuno o di quel simbolo che avevano votato: poter constatare che ai vertici del potere non cambiava nulla era per molti una rassicurante sensazione di tranquillità. Le cose, certo, potevano essere cambiate e migliorate, ma nessuna prospettiva di progresso poteva valere anche solo il rischio di sacrificare qualcosa dello status quo. È in quegli anni che l'Italia diventò la patria dell'immobilità sociale e lavorativa.
Vecchi incubi per il futuro o nuovi pericoli dal passato?
Ad oggi, la strada per tornare a quel passato infausto è fortunatamente ancora lunga e non è detto che si compia, ma soltanto immaginare uno scenario del genere, una coalizione FLI-UDC-API-MPA (pare un codice fiscale) in crescita tra il 15 e il 20%, dovrebbe essere un monito per tutti.

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