venerdì 26 novembre 2010

Quanto Manca?

Magari bastasse arrivare al fatidico 14 dicembre per buttarsi tutto alle spalle: comunque vada, ciò che ne verrà dopo sarà anche peggio.
Maggioranza risicata, nuovo governo Berlusconi, governo alternativo, elezioni: qualsiasi scenario politico non cambierà un copione già scritto di cui questa vigilia non è nient'altro che l'indigesto antipasto. Che il governo ottenga la fiducia alle Camere oppure no, non sarà difficile trovare qualcuno disposto ad accusare l'altro di tradimento o di boicottare il Paese e viceversa. Sarà una doppia razione di caciara a reti unificate di cui noi siamo già gli unici finanziatori, oltre che i soli a prenderlo dove potete immaginare.

Cheglienefrega della crisi e altrettanto cheglienefrega di mostrare un minimo di convergenza di fronte alle emergenze che colpiscono tutto il territorio. Rassegniamoci: l'unico modo che conoscono i nostri politici per ricompattare gli elettori dalla propria parte, è quello di aizzarlo contro il nemico. Senza accorgersi che l'elettorato tutto si sta bipartisanamente allontanando da loro. L'astensionismo e la scheda bianca in crescita nelle ultime tornate elettorali ne sono un sintomo, anzi una reazione ed il risultato ultimo. Purtroppo, però, da soli non portano a nulla: che si rechino alle urne 40 milioni d'italiani oppure la metà o soltanto un decimo non c'è alcuna differenza, basta una manciata di voti per convalidare le elezioni e riempire gli scranni del Parlamento.

Siccome dobbiamo accontentarci di cotanto spettacolo, proverò nei prossimi giorni a fare l'autopsia di questa classe politica pezzo per pezzo e analizzare il loro personalissimo stato di emergenza. Senza sondaggi, senza numeri con la virgola e senza riportare il loro squallido linguaggio politichese: avete la mia parola. Ma soltanto interpretando quanto è sotto gli occhi di tutti e analizzando ciò che potrebbe celarsi dietro le quinte.

Parto dai due partiti che hanno vinto le elezioni: il Popolo delle Libertà e la Lega Nord.

"Comunista!" (cit.)
PdL (in attesa che cambino nome). Hanno perso una buona quota di parlamentari e di elettorato annesso, non hanno più la maggioranza alla Camera, dove spesso vanno sotto nelle votazioni, ma mantengono quella al Senato che le vale da comodo salvavita per impedire la formazione di un governo FLI-UDC-PD-IdV (dal quale ricaverebbero sicuramente vantaggi in termini di vittimismo ma costringerebbero B. a presentarsi in tribunale in caso di decisione avversa della Corte Costituzionale il 14/12).
Perciò continuano a trattare con futuristi e c'entristi, i quali fanno sapere che la condizione necessaria per andare avanti sono le dimissioni del premier; questi accetterebbe soltanto qualora rimanesse il leader anche della nuova maggioranza, facendo così vacillare i finiani. Ipoteticamente ci sarebbero poi da ricucire i rapporti tra Casini e Bossi, impresa tutt'altro che facile.
L'alleanza col Carroccio è salda fino ad un certo punto: i leghisti avvertono l'aria del dopo-Silvio e non sono affatto certi che un futuro centrodestra guidato da Fini voglia allearsi con loro.
Prospettive: se il PdL non riuscirà a rimettere in piedi il governo, farà di tutto per impedirne uno nuovo che cambi la legge elettorale, preferendo andare subito al voto alleandosi anche da solo con la Lega. La possibile vittoria porterebbe molto probabilmente una maggioranza soltanto alla Camera e non al Senato, bloccando ulteriormente il Parlamento e costringendosi a trattare per una coalizione più ampia. Il tutto con un candidato premier che inizierebbe la legislatura a 75 anni e con l'obiettivo intermedio di succedere a Napolitano.

Il miglior manifesto di sempre
Lega. Il loro unico interlocutore è rimasto il PdL. Sicuri di una vittoria con il Porcellum cucitosi su misura, finora sono sempre stati a favore del voto subito: arriverebbero a sacrificare perfino le deleghe ricevute dal governo per il federalismo (che scadono in primavera), scaturendo addirittura dei dubbi sulla volontà del Carroccio di portarlo a compimento.
Da qualche giorno, però, hanno riaperto il tavolo per un rimpasto di governo: forse qualche luminare, merce rara trai leghisti, ha suggerito al Senatur che con i tre poli in gara la vittoria elettorale sarebbe tutt'altro che certa e quasi sicuramente zoppa al Senato. Oppure si sono accorti che con il mancato intervento agli alluvionati veneti le cose sono cambiate: la Roma ladrona, sorda alle richieste d'aiuto, oggi potrebbe essere tinta di verde agli occhi di tanti settentrionali.
Come detto in precedenza, cresce anche la preoccupazione per il dopo-Silvio ed il rischio di tornare ad essere un partito di protesta senza aver ottenuto il federalismo tanto sbandierato dopo esserci andati così vicini, sarebbe uno smacco imperdonabile.
Prospettive: rimettere in piedi il governo e arrivare al termine della legislatura ma non a qualsiasi costo; se i compromessi richiesti da finiani e c'entristi dovessero rivelarsi esorbitanti, meglio il voto subito, anche a costo di dover essere i responsabili della crisi.

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