mercoledì 26 gennaio 2011

Treppiedi in una Scarpa

In una Democrazia come quella italiana, la separazione dei poteri vuole che chi viene incaricato di una funzione pubblica, svolgendo il proprio compito si comporti anche da controllore di quanti parallelamente sono stati incaricati di altre funzioni pubbliche, complementari alla propria e mai concorrenti.
Il potere, inteso come autorità legittimata a decidere o influenzare le decisioni di uno Stato, non è a somma zero. Il detentore di uno dei tre poteri statali (esecutivo, legislativo e giudiziario) che interviene per sminuire chi ne esercita uno diverso nel tentativo di sottrargli ed accaparrarsi maggiore autorità, fallirà miseramente.

Perché la delegittimazione di una sola istituzione pubblica si riversa direttamente nei confronti dello Stato in quanto massimo ufficio riconosciuto dai cittadini e coinvolgerà in maniera direttamente proporzionale ogni altra istituzione, a partire da quella che avrà iniziato il processo di autodistruzione.
Un potere che controlla un altro potere non può perciò intervenire per sottrarre a quest'ultimo margini di autorità, né invaderne i confini di influenza. Il sistema dei pesi e contrappesi si regge se tutti gli incaricati di un potere adempiono al proprio compito: se una delle istituzioni preposte diventa troppo forte o troppo debole, le conseguenze coinvolgono l'intero sistema. Tali poteri sono in sintesi come i legni di uno sgabello a tre piedi: se uno di questi è troppo lungo o troppo corto, lo Stato che vi è seduto sopra cade.

Nella guerra di trincea riesplosa in questi giorni tra l'esecutivo di Berlusconi e la magistratura di Milano, vediamo affrontarsi tra loro due poteri similmente forti accaniti l'uno contro l'altro per una battaglia persa in partenza da tutti.
Se il premier dovesse dimettersi sotto i colpi dei PM milanesi, il potere giudiziario conquisterebbe un influenza abnorme sulle scelte politiche del Paese che difficilmente saprebbe controllare da solo; mentre un'ennesima sottrazione dal giudizio del tribunale per il Presidente del Consiglio significherebbe un altro destabilizzante colpo per un sistema giuridico sempre più invadente, lungo e inconcludente.
Ma non è tra questi due contendenti che nasce lo squilibrio delle nostre istituzioni, bensì dall'inarrestabile perdita di autorità del Parlamento italiano. Un Parlamento sbranato dagli altri due poteri: prima delegittimato oltre ogni suo demerito dall'inchiesta di Mani Pulite e poi sottratto sempre più spesso del suo potere legislativo da Consigli dei Ministri prodighi di decretazioni d'urgenza.
Se il Parlamento, crocevia fondamentale per le fortune di ogni Repubblica Parlamentare che si rispetti, non troverà un moto d'orgoglio e non riscatterà il suo ruolo di protagonista per la politica italiana, questi decennali tempi bui rischiano di protrarsi ancora per molto.
L'unica via percorribile è quella che ricondurrà i nostri parlamentari dalle luci degli studi televisivi ai banchi di Palazzo Madama e di Montecitorio: una volta lì, dovranno riappropriasi del propria funzione legislativa, impedire questa tacita trasformazione in atto del nostro sistema in un presidenzialismo zoppo e riassumersi personalmente quelle responsabilità da troppo tempo delegate ad un singolo, che mettendoci la faccia per tutti ha sacrificato non solo le idee, concetti ormai preistorici, ma persino i programmi di governo in cambio di un più rassicurante e meno impegnativo "ci penso io".

1 commento:

  1. Ma quando mai questa classe politica fatta di avvocati, soubrette e magnaccia rinuncerà all'ala protettrice dello Zio Silvio e si assumerà le proprie responsabilità? Secondo me MAI.
    Questa è utopia pura, speranza mal riposta.
    E intanto mi continuo a rodere il fegato mentre vengo infognato dalla solita "bomba boomerang" giudiziaria (o telematica) mentre il mio amato paese va a rotoli.

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