Alla vigilia di una settimana che si preannuncia turbolenta, sarebbe opportuno fare un passo indietro per analizzare le dinamiche che hanno portato l'attuale governo a questo punto di non ritorno.
C'è una teoria politica che dice: quando una coalizione di governo assume il potere per un periodo prolungato di tempo e/o con una maggioranza numericamente eccessiva rispetto agli altri partiti, tale governo può trovare le maggiori controversie direttamente nel suo dibattito interno. In poche parole, un esecutivo con troppo margine di potere riceverà dal suo interno quella opposizione che non può arrivare dall'esterno.
La spaccatura che sta vivendo oggi il quarto governo Berlusconi è la conferma più limpida di quanto detto qui sopra, ma procediamo per gradi nella nostra dimostrazione.
Partiamo dal piano temporale: il centrodestra ha abbondantemente vinto le elezioni politiche del 2001, approssimativamente "pareggiato" quelle del 2006, e rivinto con un ampio margine quelle del 2008. Dopo quest'ultima tornata nazionale, la coalizione guidata dal PdL ha inoltre sostanzialmente portato a casa anche tutte le altre elezioni intermedie: europee, regionali, provinciali e comunali. Con 8 anni di Governo negli ultimi 10 e ben 3 tornate elettorali vinte di fila, ci sono dunque fondati motivi per ritenere che il consenso del centrodestra sia sufficientemente prolungato nel tempo.
Ma è sul piano quantitativo che i requisiti della teoria di cui sopra sono inequivocabilmente rintracciabili: nel 2008, e ancor più nel 2001, la maggioranza conquistata nelle due aule parlamentari è stata di molto superiore alle forze delle opposizioni. Un vantaggio, in entrambe le occasioni, superiore ai 50 deputati e i 25 senatori.
Come se non bastasse, dei tre partiti eletti fuori dalla coalizione vincente uno è l'UDC, ex alleato del governo odierno: di certo non quello che si definirebbe un acerrimo avversario.
Proprio l'allontanamento dei c'entristi dalla coalizione di centrodestra è il primo sintomo di una maggioranza che ha cominciato a trovare dissenso al suo interno. Nonostante ciò, i numeri dell'attuale governo in Parlamento sono abbondantemente favorevoli.
Perfino troppo.
In netta minoranza in entrambe le Camere, le opposizioni si ritrovano con un potere contrattuale fortemente ridotto, indipendentemente dai loro demeriti. Se a ciò si aggiunge un abuso da parte del governo ampio ed inutile (perché i numeri in Parlamento li avrebbe tutti per una regolare funzione legislativa) della questione di fiducia e della formula del decreto, il ruolo delle opposizioni viene ulteriormente limitato.
In una situazione del genere, e con un Capo dello Stato pronto a firmare anche le ricevute di pagamento delle gentili ospiti di Palazzo Grazioli, non ci sono più ostacoli per l'approvazione di qualsivoglia provvedimento.
Ed è proprio in questo momento che avviene lo scontro all'interno della maggioranza. Se è vero che ogni coalizione, perfino ogni partito di notevole dimensione, deve far fronte a divergenze e dibattiti dentro le proprie mura, tali conflitti saranno tanto più aspri quanto meno preoccupanti sono le minacce dall'esterno.
Per fare un esempio della situazione inversa: se la coalizione di centrosinistra eletta nel 2006 è riuscita a tirare a campare per due anni nonostante avesse soltanto un voto di vantaggio al Senato, ciò è avvenuto grazie soprattutto ad una minaccia forte dell'avversario dall'esterno, che induceva ad un ricompattamento (nei limiti del possibile) delle forze di governo.
Con Bossi dietro al cespuglio e le opposizioni inermi per mancanza di pericolosità parlamentare, Berlusconi e Fini possono tranquillamente sfidarsi a viso aperto, come sta accadendo, anche per mere questioni personali. Solo così si può spiegare come una tale maggioranza parlamentare, composta peraltro da soli due o tre partiti e senza nessuna scadenza elettorale in prossimità, non riesca a portare avanti un'azione concreta di governo.
A proposito di scadenze elettorali, vi ricordate quando il giorno successivo al voto regionale dello scorso inverno, i nostri cari governanti sostennero che le campagne elettorali erano finite per un periodo sufficiente di tempo da garantire al Parlamento la possibilità di discutere e approvare provvedimenti importanti?
"Si apre la stagione delle riforme", annunciarono.
Probabilmente si trattava soltanto di una mezza stagione, di quelle che oramai non ci sono più.
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